A cura di Topidabiblioteca
Scheda:
Titolo: Il lupo
Autore: Nazareth Simoncelli
Anno: 2020
Genere: Thriller, Noir
CE: Corponove
Pagine: 144
Formati disponibili: Copertina flessibile
Prezzo: 14,00 €
Trama:
Fine luglio 1879, l’omelia di don Lionello incalza un’ultima volta i fedeli. La caccia al lupo non è ancora finita. Dove si nasconde quel predatore feroce? Forse s’aggira ancora indisturbato negli alpeggi della Valseriana o negli abitanti sparsi, fra quella gente timorata che cerca di scuotersi dalla rassegnazione per aver perso la fede.
Recensione:
11 settembre 1879: nel fiume Serio, in Lombardia, viene ritrovato un cadavere. Da inchieste sommarie risulterà chiamarsi Alessandro Antonio. Il medico legale non ritrova ferite strane e dichiara la morte accidentale ipotizzando anche un possibile suicidio. Non c’è nessun parente da contattare e così il caso viene chiuso in fretta.
“Questa fine miseranda dello sconosciuto era da collegare ai tremendi fatti accaduti le estati appena andate , o quella persona era un caso del tutto fortuito, un ritrovamento accidentale nel luogo sbagliato? […] Povero Alessandro Antonio, dato in pasto all’opinione pubblica oltre che ai pesci del fiume. Su di lui sarebbe caduta la gogna della colpevolezza, in un tremendo passaparola più efficace di qualsiasi giornale o condanna di tribunale.”
Giugno 1994: un vecchio nipote dell’annegato affida un ritaglio del Corriere della Sera a uno sconosciuto, chiedendogli di indagare a fondo sulle vicende che hanno visto coinvolto suo nonno. Egli era un timidissimo taglialegna, amante della natura e delle scalate in montagna, non avrebbe mai fatto del male a delle bambine, così come è stato accusato.
Ma se non Alessandro Antonio (o il Tone, come era stato soprannominato) che in queste vicende era sembrato molto coinvolto, chi allora aveva violato e ucciso tutte quelle pastorelle, appena bambine, nell’arco di tre tragiche estati?
“Non abbiamo resoconti di alcuni incontri, questo è vero. Il tempo ci ha tolto i testimoni oculari e nemmeno i giornali hanno saputo cogliere il dramma che si stava consumando in quelle zone, così lontane dal centro padano. Fosse successo a Milano tutto questo pandemonio si sarebbero riempite pagine e pagine per lo scandalo e la tiratura dei giornali sarebbe schizzata alle stelle. Sotto le stelle invece dormiva ogni tanto il Tone e a noi non resta che immaginare i suoi pensieri agitati, in quegli spazi infiniti.”
Da parte dell’anziano nipote, c’è quindi il desiderio di ripulire l’onore ingiustamente macchiato del suo antenato. Lo sconosciuto che accetterà di effettuare l’indagine (nonostante i pochissimi indizi) sarà invece mosso dal desiderio di mettere in pratica l’antica arte giapponese del Kintsugi. L’arte delle preziose cicatrici.
“È un’operazione ricercata che va oltre la conservazione ostinata di un oggetto. […] Possiamo inciampare, cadere, sbucciarci un ginocchio, ferirci e ferire, come pure guarire. Quel che conta è metterci una pezza, adoperarci perché il dopo sia consapevole che ha altri modi altri doni da offrirci, figli del prima, ma sotto altra forma, nel dopo. Riparare l’anima è sempre più coinvolgente che gli oggetti. È un’arte che comprende il danno, come un momento doloroso che può essere ricomposto e perfezionato. In Giappone, l’oro o l’argento ricuciono da oltre mille anni e rimettono ordine al caos generato dalla caduta accidentale di un prezioso vaso. […] Il perdono può superare una rottura e l’amore ricomporre un conflitto; ecco perché amo il Kintsugi.”
In questo romanzo noir, sono presenti molte scene di vita quotidiana, ma anche momenti crudi e spaventosi. La natura viene mostrata in entrambe le sue facce: affascinante, pura e incontaminata da un lato. Spietata e misteriosa dall’altro. Tema, questo, presente quasi quanto quello dell’indagine per la risoluzione del caso. In particolare, si evince l’amore dell’autore nei confronti del paesaggio alpino e degli animali selvatici.
“Se le scale sono la metafora della salita alla sapienza, le montagne sono il senso stesso del sapere. Arrivati in alto, si capisce che si è ancora al primo gradino e guardando più in là, c’è una vetta o pizzo che ti può insegnare molto altro. Possiamo imparare i nostri limiti e spronare la volontà nel superarli.”
La prosa si alterna a poesie e stralci di omelie. Io li ho trovati adatti al contesto e utili spesso a smorzare il tono grave del narratore.
Narratore che, abilmente, durante il corso delle indagini riesce non solo a ricostruire i fatti là dove mancano testimonianze e ritagli di giornale ma anche a delineare carattere e psicologia delle figure coinvolte.
Ad ognuna assegna un vizio capitale: la superbia al giovane curato, don Lionello, che si sentiva un Dio in mezzo ai tanti preti incapaci di trasmettere la potenza divina dell’Altissimo; l’accidia al Tone, esempio emblematico del non fare nulla per il suo paese, estraniandosi da ogni discussione e azione; la gola è riservata a don Giuseppe, che non si faceva mancare proprio nulla, alla faccia della povertà; l’invidia, sentimento non facile da individuare, apparteneva al comandante dei Carabinieri, che invece di avvalersi delle capacità altrui le osteggiava, sminuiva, se il caso boicottava; emblema della lussuria, non ostentata ma gestita con grande attenzione, era la perpetua Ligia; e infine avarizia e ira, che rappresenta gli abitanti del piccolo borgo. Del primo vizio capitale fa parte la popolazione che, per risolvere il dramma che l’ha colpita, punta l’indice su un capro espiatorio: il branco di lupi. Più un avarizia di sentimenti, che di soldi. L’ira doveva appartenere, a rigor di logica, alle famiglie duramente colpite in prima persona, ma furono forse gli unici abitanti a restarsene in silenzio, avviliti dal senso di colpa.
L’ira apparteneva così al lupo, che in questa vicenda entrava a pieno diritto esattamente come un umano.
Non riuscendo a trovare l’assassino, e fervorati dalle omelie del carismatico don Lionello, la gente del posto decide infatti di accusare per le strane morti i lupi di montagna.
“Le pecore passano tutta la vita con la paura del lupo, ma alla fine chi le mangia è il pastore.”
Quasi tutti sospettano che le ferite riportate, nonché il modus operandi, non hanno nulla a che fare con la maniera dei grossi canidi di procurarsi del cibo, ma la possibilità di dare la colpa a qualcuno, o qualcosa, nonché il poter agire per risolvere il problema (sterminandoli) riesce a infondere nella gente la serenità per ritornare a vivere e dormire tranquilli. Solo il Tone si rifiuta di prendere parte alla caccia. La sua non è solo pietà nei confronti di questi animali con i quali si sente affine ma è anche la convinzione (convinzione che lo spingerà a dichiararlo apertamente, calamitando su di sé l’attenzione) che gli omicidi non si fermeranno, in quanto di natura umana.
Questo è esattamente ciò che accade, facendo ripiombare la piccola popolazione nella confusione e nel terrore. Quale essere orribile, allora, si aggira indisturbato tra loro?
Consiglio questo romanzo a chi si vuole dedicare a una lettura breve, ma carica di riflessioni e significati.
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