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Recensione: Nevernight - Mai dimenticare

A cura di Topidabiblioteca


In collaborazione con una socia d'eccezione, Sabrina (Elfolibroso su Instagram), è nato un GDL sulla famosa trilogia di Jay Kristoff. Per chi volesse partecipare o conoscerne gli sviluppi, basta seguire l'hashtag dedicato #maidimenticaregdl

Nevernight - Mai dimenticare - è il primo libro degli "Accadimenti di Illuminotte". A distanza di un anno dal suo approdo in Italia, scopriamolo (o riscopriamolo) insieme.

Scheda:

Titolo: Nevernight – Mai dimenticare

Serie: 1/3 Accadimenti di illuminotte

Autore: Jay Kristoff

Anno: 2019

Genere: Fantasy

CE: Mondadori Oscar Vault

Pagine: 462

Formati disponibili: copertina rigida, e-book, audiolibro

Prezzo: 20,00€ (cartaceo), 9,99€ (e-book), compreso nell’abbonamento Audible


Trama:

Console Scaeva, cardinale Duomo, tribuno Remus.

Mia Corvere non potrà mai dimenticare questi nomi e troverà pace solo quando ne avrà ucciso i rispettivi proprietari. Loro infatti le hanno portato via tutto quando era solo una bambina: famiglia, casa, il prestigio del suo cognome. Sarebbero riusciti a portarle via anche la stessa vita, se qualcosa che giaceva assopito nella sua ombra non si fosse svegliato…

Sei anni dopo, con le spalle più larghe, la testa piena degli insegnamenti del suo Shahiid Mercurio e il cuore ancora colmo del desiderio di vendetta, sarà pronta a intraprendere il viaggio verso la fatidica Chiesa Rossa.

La destinazione non è un punto di arrivo, ma l’inizio della vera avventura, perché all’interno della Montagna Silente la protagonista dovrà affrontare l’addestramento più duro di tutti: quello per diventare Lama.

Le Lame sono emissari in forma umana della volontà della dea Niah anche chiamata Nostra Signora del benedetto omicidio. Sono assassini di assassini. E solo gli accoliti più brillanti nelle rispettive materie (Canti, vale a dire combattimento con armi bianche; Maschere, ovvero l’arte della seduzione e persuasione; Verità, lo studio di veleni e antidoti e infine Tasche, tecniche di taccheggio e furto) possono sperare di essere accettati nella congregazione.

Mia sa che, se vuole davvero raggiungere il suo scopo, deve diventare una di loro…


“Mai tirarsi indietro. Mai avere paura.”


La ragazza avvertì quelle parole nel proprio petto. Nel posto più buio e profondo, dove la speranza che i bambini respirano e gli adulti rimpiangono avvizzì e si staccò, fluttuando come ceneri nel vento. E lei aprì gli occhi.


“Mai tirarsi indietro.”


Un sussurro freddo nel suo orecchio.


“Mai avere paura. E mai, mai dimenticare.”



Recensione:

Mia Corvere è la protagonista indiscussa del romanzo, anche se la sua storia viene raccontata da una voce narrante di cui non se ne conosce l’identità, o almeno non ancora.

Come spiegato dal narrante stesso, le vicende raccolte nel primo libro rappresentano solo un racconto di tre che permetteranno al lettore di conoscere la nascita, la vita e infine anche la morte di colei che in futuro verrà chiamata L’incoronatrice.

“Sarai una diceria. Un sussurro. Il pensiero che fa svegliare i bastardi di questo mondo madidi di sudore nell’illuminotte. L’ultima cosa che sarai mai, ragazza, è l’eroe di qualcuno. Ma sarai una ragazza che gli eroi temeranno.”

In Mai dimenticare assistiamo quindi alla sua “nascita” come Lama della sacra Chiesa Rossa.

L’inizio non è dei migliori, diciamocelo. La partenza è caotica, sconclusionata, potrebbe seriamente indurre un lettore “poco allenato” a lasciar perdere prima ancora di aver iniziato.

Un lettore rodato, invece, coglierà con entusiasmo la genialità intrinseca nel caos, perché capirà dove vuole andare a parare l’autore solo quasi a fine capitolo.

Kristoff infatti presenta due situazioni parallele, a distanza di poco tempo l’una dall’altra, dove le analogie si sprecano e il significato di un'azione, di un simbolo o di un pensiero cambia (nonostante siano identici) passando da una scena all’altra.

Per fortuna però, queste scene sono le uniche a essere descritte in questa maniera, perché dal secondo capitolo in poi utilizzerà un tempo narrativo più lineare, inframezzato al massimo da brevi flashback di Mia bambina.

Il worldbuilding è ben studiato. Forse l’elemento più originale della storia. Ci troviamo nella Repubblica di Itreya, una terra solcata da ben tre soli che non lasciano mai tregua dalla luce, se non per un breve intervallo una volta ogni due anni e mezzo, durante il verobuio.

I giorni vengono chiamati cambi, a indicare il passaggio dalla veglia (durante la soliluce) al riposo dato dall’illuminotte (in cui il clima è più fresco).

I momenti della giornata vengono invece indicati in relazione ai pasti.

All’interno della Repubblica sono presenti territori e popoli molto diversi fra loro. La città di Godsgrave ad esempio ricorda molto la Roma e la Venezia antica, mentre Ashkah richiama i deserti arabi.

Anche il lessico è stato adattato per rimarcare queste assonanze.

A Itreya tra nobili signori ci si rivolge utilizzando termini quali Domina e Dominus, mentre gli insegnanti della Chiesa Rossa (situata poco distante da Ultima Spes, ad Ashkah) si fanno chiamare Shahiid.

Se questi accorgimenti li ho trovati brillanti e ben inseriti, non posso dire altrettanto degli stravolgimenti lessicali che Kristoff fa in relazione alla descrizione delle capigliature.

Non so e non posso dire se si potevano allegramente evitare o se riguarda solo la pessima traduzione italiana, ma l’utilizzo della parola “salciocche” per indicare la cotonatura dello stile rasta a me ha lasciato parecchio a desiderare, per non parlare di “bellitrecce”.

Ogni oggetto, in Nevernight, non è “niente di nuovo” ma un niente di nuovo “personalizzato”. Monete, armi, abbigliamento…

Ho apprezzato molto, poi, la dettagliata creazione della dottrina religiosa.

“Aa diede alle sue figlie il dominio sugli elementi. A Tsana, la sua primogenita, regalò il dominio sul fuoco. A Keph, sulla terra. A Trelene, sugli oceani. A Nalipse, sulla tempesta. Si dice che Niah non donò nulla alle sue figlie, poiché dentro di sé la Mannaia non ha nulla da dare. Ma queste sono falsità sbraitate dai ministri della Chiesa di Aa. A Keph, Niah diede i sogni per tenerle compagnia nel suo sonno eterno. A Trelene, il mistero, le profonde acque scure oltre la soliluce. A Nalipse, la calma, ovvero la pace nell’occhio del ciclone. E a Tsana? La sua primogenita che la disprezzava così tanto? A Tsana, dea del fuoco, Niah diede la fame. Una fame senza fine.”

Idolatrati, temuti, odiati, amati… in Nevernight gli dei sembrano assumere consistenza come accadeva nei miti dell’Antica Grecia. Hanno una loro volontà, influenzano la vita degli esseri umani…

“A cosa servono? Ci danno una sola cosa. La vita. Miserabile e merdosa. Dopodiché? Prendono. Le tue preghiere. I tuoi anni. Perfino la vita che ti avevano dato all’inizio.”

In un mondo dove governa la luce, il buio, le ombre, non sono solo un male da prevenire e temere, ma vere e proprie forze da combattere con armi infuocate.

Mia stessa è, per così dire, una creatura del buio.

Piccola Tenebris, la chiamano in molti, anche se nessuno sa davvero cosa significhi.

La sua ombra è più scura, dimora di un essere di provenienza e scopi ignoti che assume forma di gatto per non sconvolgere una Mia bambina.

Messer Cortese è forse l’unica novità che l’autore apporta al genere fantasy (anche se non ci metterei la mano sul fuoco). Vero e più sincero amico di Mia? Solo un approfittatore?

Il primo libro lascia ancora aperto questo interrogativo.

Amico o meno, tuttavia, il gatto senza occhi fatto di ombre, è un indispensabile aiuto.

La nostra protagonista, infatti, può vantare di essere priva di qualsiasi paura, ansia, incubi e tribolazioni sentimentali solo grazie a Messer Cortese che mangia a grandi boccate queste “sensazioni”.

Nonostante questo Mia non è affatto un personaggio piatto, statico o apatico, in quanto è pienamente consapevole delle situazioni che vive.

È una ragazza cresciuta fin troppo in fretta, responsabile, coscienziosa. La sua fame di vendetta non la fa “veder rosso” come un toro impazzito tutto il tempo, concedendosi anche momenti di riflessione filosofica.

Non è romantica, ma solo perché ha i piedi ben piantati per terra. Ciò non vuol dire che non sia delicata e dolce, a suo modo.

Ma ciò che la caratterizza più di tutto è il suo umorismo tagliente, a tratti noir, che riflette chiaramente quello dell’autore.

I personaggi sono molti. Alcuni più caratterizzati e credibili di altri.

I più interessanti li troviamo nel viaggio verso la Chiesa Rossa, l’affascinante Tric e la saggia Naev. Ma anche durante l’addestramento nella Montagna Silente, quartier generale degli assassini più temuti della Repubblica.

Gli Shahiid sono tutti affascinanti, letali e spietati (non ci penseranno due volte a mutilare, torturare o uccidere gli accoliti meno disciplinati).

Mentre tra i compagni regna un’atmosfera di cupa consapevolezza: possono anche fingere di essere amici, ma prima o poi dovranno pensare ai propri interessi a discapito degli altri. In questa scuola di assassini, la locuzione mors tua, vita mea andrebbe presa alla lettera.

Prendiamo ad esempio Ashlinn, vivace e amichevole, ma che non si lascerà sfuggire l’occasione di rubare al suo stesso fratello un monile per aggiudicarsi qualche punto in più nella competizione di Tasche.

Ci saranno omicidi anche tra gli accoliti, e poi combattimenti, dichiarazioni aperte di odio e disprezzo.

La storia è buona, più che buona. Lo stile è maturo, consapevole, non sono presenti buchi di trama e ogni personaggio, ogni passaggio nonché l’elaborato worldbuilding sono esattamente come ogni lettore di fantasy vorrebbe che siano: ricchi di particolari, emozionanti, ipnotizzanti.

Insomma, la mia impressione è che Jay Kristoff, da bravo Nerd, abbia scritto una storia che lui per primo avrebbe amato leggere.

“I libri che amiamo, ci amano a loro volta. E proprio come noi segniamo certi passi sulle pagine, quelle pagine lasciano il loro segno su di noi.”

Ci ha messo tutta la sua passione, direte voi, quindi è giusto che questa venga trasmessa e recepita dal lettore.

Vero, ma secondo me ce ne ha messa davvero troppa.

Non serve avere chissà quali conoscenze sul genere fantasy/distopico per riconoscere in Mia e nella sua storyline fatta di sangue e vendetta la celebre Arya Stark, partorita dalla penna di George R.R. Martin; nell’addestramento da accolita quello di Tris come intrepida nella serie Divergent di Veronica Roth. La calata all’interno della Pietra Filosofale (un carcere dove muore ogni speranza di libertà) ricorda molto lo svolgimento degli Hunger Games ideati da Suzanne Collins mentre la scena con i confessori, sembra riprendere un celebre momento visto nell’iconico V per Vendetta.

Per non parlare di altri piccoli e grandi riferimenti ad altre opere, una su tutti, Harry Potter, del quale si avvertono le atmosfere durante le lezioni (ambientazioni e professori, in questo caso chiamati shahiid, quasi sovrapponibili).

Come può, quindi, un libro che sembra sia stato scopiazzato qua e là, venire osannato a tal punto da essere definito un capolavoro?

Io credo che lo sia davvero, in un certo senso, perché tolti quei piccoli difetti che possono essere dati da richiami ad altre opere e le innumerevoli note (a cosa servivano? In questo ho trovato l’autore un po’ svogliato, avendo trovato nelle note un sotterfugio per sviare all’inconveniente di inserire all’intero della storia momenti adatti alla costruzione del worldbuilding. Per non parlare di quelle che dovrebbero far sorridere, ma che invece di smorzare le atmosfere a volte cupe, non fanno altro che interrompere la fluidità della lettura) Nevernight lo si legge alla grande.

“Tu sei una figlia delle parole. Una ragazza con una storia da raccontare.”

Una volta calato nella storia, empatizzato con Mia e con gli altri personaggi, non vorresti più uscirne.

Pertanto, lo trovo molto adatto a chi si approccia per la prima volta al genere fantasy.

Non lo consiglierei invece ai “deboli di cuore” che potrebbero non apprezzare, se non odiare, le scene erotiche e i combattimenti impietosi (che, comunque, non reputo di certo eccessivi).

In entrambi i casi, il sangue la fa spesso da protagonista.

“Quando tutto è sangue, il sangue è tutto.”

Ultima considerazione, anche se, dato che siamo solo al primo volume della saga, potrebbe variare: Mai dimenticare è un concentrato di belle idee. Alcune sono state ben sviluppate, mentre altre (come ad esempio la competizione di Tasche in cui mi aspettavo più “movimento”, idem per le incursioni a Godsgrave durante le lezioni di Maschere) sembrano siano state “dimenticate” dall’autore per dedicarsi ad altro, quasi che, dopo averle presentate, il suo entusiasmo nei loro confronti si sia smorzato.

Stessa cosa vale per il personaggio di Lord Cassius, ma non aggiungo altro, confidando nei prossimi volumi.

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